Il gelso – l’albero della saggezza

“Giunti alla classe terza la maestra Elisa, che l’autunno precedente aveva voluto ache ogni scolaro arrivasse a scuola con un diverso ramoscello d’albero, alla fine del maggio 1929 ci portò dei bozzoli dalla pianura. Ci spiegò che dentro ognuno c’era una farfalla che prima era bruco e prima ancora piccolo ovetto che, dischiuso al tempo che i gelsi mettono le foglie, mangiando queste era mutato e cresciuto fino a costruirsi intorno la sua casa di fili di seta” (Mario Rigoni Stern).

Il gelso “Morus alba.L. appartiene alla famiglia delle Moracee e la caratteristica di questa pianta è un lattice che viene secreto come difesa a ferite o lesioni per evitare la penetrazione di parassiti nel loro organismo. Il gelso è albero di media grandezza, ma può arrivare anche a 20 m. e vivere qualche secolo. Ha una corona espansa e dansa, la corteccia; quando è giovane è grigia poi si incupisce tendendo al bruno e si fessura nel senso della lunghezza. I rami sono lisci e glabri.

Le preziose foglie, che attraverso il filugello ci danno la seta, sono alterne, quasi contrapposte. Fiorisce in aprile-maggio e lo stesso soggetto porta fiori maschili e femminili inPeduncolati. I frutti originati dalla inflorescenza sono lunghi un paio di cm, di colore avorio o bianco rosato, o rosso vivo e cupo. Il loro sapore risulta dolce ancora prima della maturazione.

Il Morus alba, la cui terra di origine è la Cina, è giunto in Europa in antichissima data. E’ considerato da Plinio “albero sapientissimo” perché è l’ultimo a sbocciare ed il primo a maturare la frutta; in questo modo evita i dannosi effetti del freddo intempestivo e i frutti restano poi a lungo sui rami. Pare che le donne romane e greche con il succo di questi frutti si tingessero le guance.

Dall’inizio dell’Era Cristiana le carovane venute dall’Oriente portavano la seta fino alle sponde del Mediterraneo. I principi romani amavano la favolosa stoffa!

La leggenda vuole che verso il 550 d.C. due monaci del Monte Athos inviati da Giustiziamo portarono da Bukhara (dove il gelso era già stato introdotto precedentemente) i semio dell’albero prezioso e il “seme” del baco da seta nascosti nelle canne di bambù.

La coltura del gelso non tardò ad estendersi in Grecia dove veniva praticata in vasta scala. Nel XXII secolo Ruggero di Sicilia trovò saggio decidere di importare nel suo reame l’albero, l’insetto e dei prigionieri capaci di lavorare la seta. Di lì il gelso e il suo verme passarono in Italia.

Il grande Olivier di

Serres (1530-1619) aveva pubblicato un opuscolo intitolato “La raccolta della seta con l’alimentazione dei vermi che la producono”; egli vi esponeva delle tecniche che da allora sono cambiate di poco.

Nel 1603 l’aranceto delle Tuileries viene convertito in bachicoltura e in filanda, mentre in ogni parrocchia francese si ordina di creare un gelseto e di allevare i bachi. Lione divenne ben presto la capitale mondiale della seta. Il gelso venne chiamato “albero d’oro”.

L’avvento delle fibre sintetiche fu, nei nostri paesi, il colpo di grazia. Quasi del tutto abbandonato per l’uso delle sue foglie “unica carne” del baco da seta, come dice O. de Serres, il gelso meriterebbe di sopravvivere per l’eccellenza del suo legno. I rami di potatura e i fusti dei cedui danno buoni pali quanto quelli del castagno. Sono state costruite botti con il legno di gelso e il vino acquistava così un retrogusto molto gradevole.

Il gelso è indifferente alla natura mineralogica del suolo. Teme solo i terreni umidi e compatti. La crescita è abbastanza lenta e la longevità elevata. L’età del gelso che misura 1 m di diametro è di circa 170 anni.

Caratteri ben poco distinti separano il gelso nero da quello bianco. Si può riconoscere l’albero quando è sprovvisto dei suoi frutti acidi, saporiti, dalle sue foglie grandi, più spesse di quelle del gelso bianco.

Il gelso nero “Morus migra” o “moro” albero da frutto, ha una storia molto diversa da quelle del suo parente. Spontaneo nell’Asia occidentale (Persia, Armenia. Ecc.) è stato introdotto in Europa molto anticamente. Era già conosciuto in Grecia ai tempi di Ippocrate e persino Eschilo e Sofocle ne parlano o lo citano.

I romani apprezzavano le more: Plinio (I sec.) distingueva le varietà di Ostia da quello di Muscolo (Frascati) e deplorava già che il loro succo macchiava le mani. Orazio l’aveva preceduto lodando il frutto amato dai golosi del tempo di Augusto “colui che mangerà alla fine del pasto delle more raccolte al levar del sole starà bene tutta l’estate”.

La mora del gelso nero appartiene ai più antichi frutti medicinali. Galeno considera la mora come un frutto “di piccolo nutrimento” astringente se immatura, lassativa a maturità.

Le more scure e succose maturano a ondate successive fino alla soglia dell’autunno.

Il legno del gelso nero è del tutto identico a quello del gelso bianco.

“Pianta a valenza multipla” così è stato definito il gelso a livello europeo nell’ambito delle iniziative agricole comunitarie, che lo hanno elevato al rango di pianta in sintonia con l’ambiente. La coltura del gelso non richiede insetticidi; il suo apparato radicale è idoneo all’assestamento idrogeologico dei terreni a rischio di frana; dai rami privati di foglie si ricava una fibra polimerizzata, impiegata nella componentistica industriale e il materiale che si ottiene è perfettamente biodegradabile.

Di Liana Landi

da:

Pierre Lientaghi – Il libro degli alberi e degli arbusti
Mario Rigoni Stern – Arboreo salvatico
Anna Maria Botticelli – su Case e Country, maggio 2000